Una critica cognitiva dell'antropologia

Il caso della conoscenza del tempo

  • Maurice Bloch

    Professore di Antropologia - London School of Economics and Political Science

  • da venerdì 06 Aprile 2001 a venerdì 08 Giugno 2001 - 17,30
Scuola Alti Studi

Uno degli effetti più nefasti dell’immaginare le scienze sociali, e in modo particolare l’antropologia, come una specie di salvezza dal potere d’imprigionamento della scienza moderna e della razionalità illuministica è stato l’oscuramento dei contributi che queste stesse discipline possono dare a una comprensione generale ed equilibrata della natura degli esseri umani. Ciò ha reso quasi impossibile la collaborazione tra discipline quali la biologia evoluzionistica e l’antropologia culturale. Ciò che gli antropologi hanno avuto da dire sul tempo è significativo perché tale tema illustra bene il modo in cui la paura che gli antropologi provano per discipline come la psicologia cognitiva ha impedito loro di valutare con maggiore sobrietà, e quindi in modo più convincente, i loro stessi importanti contributi.

Quando scrivono sul tempo, gli scienziati sociali spesso concepiscono il proprio ruolo come quello di difensori degli umani contro una rappresentazione non abbastanza rispettosa, che essi imputano agli scienziati naturali, secondo la quale gli umani organizzano le loro azioni in risposta a stimoli animali e concepiscono le informazioni temporali come se queste fotografassero senza mediazione i fatti del mondo esterno. Essi, per contro, mettono in luce la costruzione storica della valutazione del tempo e la sua correlazione con diversi fattori sociali, politici, economici, filosofici ed estetici. […]
Una corrente antropologica di primo piano assume che gli individui apprendano tempo e durata nei termini di una conoscenza acquisita, perché solo se ciò fosse vero avrebbe senso dire che la comprensione del tempo deriva dalla storia, dal linguaggio, dalla cultura, dalla pratica, dalla struttura sociale o quant’altro. Tutte le prove recenti invece mostrano che negli uomini esiste una comprensione elementare del tempo fin dal momento della nascita. Ciò è probabilmente innato e costituisce una caratteristica degli umani normali, come avere dieci dita. Se ciò è vero, dire che popoli diversi hanno, a questo livello fondamentale, concezioni diverse del tempo, significa dire che appartengono a specie diverse

Riferimenti Bibliografici


- M. Bloch, How We Think They Think. Anthropological Approaches to Cognition, Literacy and Memory, Boulder 1998;*
- E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, Milano 1977;*
- E. Evans-Pritchard, I. Nuer, Un'anarchia ordinata, Milano 1995;*
- N. Munn, The Fame of Gawa: a Symbolic Study of Value Transformation in a Massim (Papua New Guinea) Society, Cambridge 1986;
- B. Lee Whorf, Linguaggio, pensiero e realtà, Torino 1977.*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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