• Rinunciare al mondo

    Forme di ascesi e di perfezionamento spirituale nelle tradizioni religiose

Yoga

La ricerca del samādhi in Patañjali

  • Federico Squarcini

    Professore di Storia delle religioni - Università Ca’ Foscari di Venezia

  • venerdì 26 Gennaio 2024 - ore 17.30
Centro Studi Religiosi

Video integrale

Il modello di yoga più noto, a partire dal IV-Vl secolo d.C. in avanti, è senz’altro quello descritto nel discorso sulla “disciplina in otto membra” – anche detto “ottuplice yoga” -, secondo la formula esposta e codificata da Patanjali (II-III, o IV-VI sec. d.C.). È un modello presentato e illustrato in seno a un trattato piuttosto ermetico, intitolato Yogasutra , al quale sono seguiti numerosi commenti elucidativi, atti proprio a fare luce sui complessi significati reconditi, tipici dello stile aforistico adottato dal suo autore.

Le otto membra dello yoga delineate negli Yogasutra sono concepite per condurre a un graduale affrancamento dalle ragioni del dolore, e auspicano il raggiungimento dell’isolamento e della piena concentrazione.

Inizialmente, però, lo yoga di Patanjali si presenta come una prassi atta a fermare la corrente tumultuosa del pensiero. Questo è detto nel secondo e celebre aforisma dell’opera: «lo yoga è la cessazione/inibizione delle funzioni mentali composite».

Ciò significa che la coscienza deve tener salde le redini della mente e delle facoltà sensoriali. Per avanzare nello yoga è dunque indispensabile il distacco dalle diverse forme di legame, cercando così di porre rimedio alle cinque “infezioni”: ignoranza, egoismo, passione sensuale, attaccamento e avversione. Nell’opera di Patanjali c’è anche il riferimento a un dio, e all’idea che la contemplazione meditativa e l’avanzamento nello yoga portino allo sviluppo di facoltà sovra-sensoriali.

In siffatto percorso, dunque, marcatamente ascetico, il narcisismo e le diverse forme del culto di sé vengono esplicitamente intesi come fattori che fanno regredire il praticante (yogin).

Difficile quindi dubitare del fatto che l’autore degli Yogasutra sia impegnato nell’elaborazione di una complessa e sistematica dottrina, retta da una specifica teoria sull’essere, da una precisa cosmologia e da un discorso sulla divinità.

Le parti di questa sistematica, perciò, non possono esser viste come autonome dal resto del sistema. D’altro canto, che tutto il discorso di Patanjali sia sorretto da una implicita interdipendenza progressiva è chiaro fin dalla disposizione delle otto componenti della disciplina, così come inizialmente elencate negli Yogasutra: (1) yama, raffrenamenti o astinenze; (2) niyama, prescrizioni o osservanze; (3) asana, attitudini/posizioni del corpo oppure, più letteralmente, posizioni sedute; (4) pranayama, regolazione della respirazione; (5) pratyahara, emancipazione dall’attività sensoriale; (6) dharana, concentrazione; (7) dhyana, meditazione; (8) samadhi, concentrazione, o anche “assorbimento totale del sé”, “ricongiunzione”, “en-stasi” (nella traduzione di Eliade).

 

(da F. Squarcini, L. Mori, Yoga. Fra storia, salute e mercato, Roma, Carocci, 2008, pp. 56-57)*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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