La crisi del progresso

I totalitarismi e le disillusioni della politica nel Novecento

  • David Bidussa

    Direttore - Biblioteca della Fondazione Feltrinelli, Milano

  • venerdì 07 Novembre 2014 - 17.30
Centro Culturale

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Una delle preoccupazioni maggiori che connotano l’inquietudine contemporanea è costituita dall’immagine che vogliamo consegnare ai nostri eredi. Il secolo che ci siamo appena lasciati alle spalle costituisce una delle maggiori fonti di ansie, di turbamento, comunque di insoddisfazione nella nostra quotidianità. Il Novecento, proprio per la sua dimensione di disincanto e di rottura di tutti i paradigmi, è stato uno dei secoli più progettuali e teleologici. Non è improprio osservare come questo effetto sia anche incluso nelle proiezioni di attesa che ne hanno accompagnato il suo sorgere. All’inizio del Novecento le immagini che suscitava l’arrivo del nuovo secolo erano concentrate sostanzialmente in alcune figure. Su tutte predominava la sorpresa e il fascino della tecnica. Tecnica voleva dire sviluppo, dinamismo, futuro: in breve, nuove possibilità. Ma questa visione non costituisce il sintomo di uno sguardo ottimistico sul futuro. L’autocoscienza dell’uomo occidentale attraversa una fase critica e incerta negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento che si riflette anche nell’immagine della tecnica, delle sue potenzialità e, soprattutto, della sua potenza. Da un’idea di progresso come lento sviluppo, si consolida un’idea dello sviluppo come deformazione, come regno del maligno. Da benefico, lo sviluppo si trasforma in terrifico e la visione del futuro tecnicizzato come liberazione dalla fatica si rovescia nel suo contrario: trasfigura in una distopia. La tecnica, in questo senso, da prodotto della cultura diviene sintomo del dominio dell’anticultura. Ma, soprattutto, la tecnica come rottura dell’ordine costituito e della gerarchia sociale a esso collegata, implica e suscita timori anche per il possibile rovesciamento di valori e ruoli sociali. Il timore nei confronti dell’universo femminile, della sua enigmaticità o della sua «doppiezza», già attivo all’inizio del Novecento, costituisce uno dei segni che con più radicalità indicano l’oscillazione del sismografo politico e culturale dell’intero secolo. La paura è un movente importante nella storia collettiva del XX secolo e il totalitarismo è un sintomo del suo dispiegarsi. Ma non solo. (…) La questione del totalitarismo va posta non come una specifica forma di regime storicamente data, bensì come un concetto. In quanto concetto, tuttavia esso andrà definito in un’epoca, in relazione ad alcuni connotati e in conseguenza della presenza e della dinamica di alcune condizioni. Ma proprio perché concetto e non «cosa», il totalitarismo si configura non in quanto intrinseco di un’esperienza ideologica data, bensì definito da un grappolo di caratteristiche che attraversano le esperienze politiche contemporanee. Il totalitarismo riguarda ambiti di destra e di sinistra; si modella in relazione a versioni narrative e persuasive – in breve retoriche – attraverso le quali attori politici configurano una condizione della stabilità del potere; stabilità, infine, che è il prodotto di una domanda di insicurezza sociale e di incertezza collettiva. L’esperienza totalitaria non è la vacanza della ragione, bensì è la spia di una domanda di semplificazione sociale e culturale a fronte di una complessificazione delle società contemporanee. È per questo che si connota attraverso l’apparente dimensione religiosa del vissuto politico e avendo come risorsa una versione vittimizzata della storia. Sono questi due connotati a definire il concetto di totalitarismo: da una parte, la configurazione dell’ordine gerarchico in quanto salvezza per cui apparentemente l’esperienza totalitaria tende ad assimilarsi a una dimensione religiosa attraverso l’affidamento di sé al capo supremo assunto come redentore. Dall’altra, la fondatezza della gerarchia totalitaria come domanda di sicurezza, come espressione di una mentalità che trova nella forma del totalitarismo una risposta.

 

(da D. Bidussa, La mentalità totalitaria. Storia e antropologia, Brescia, Morcelliana, 2001, pp. 9-11, 18)*

 

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