Cittadini diseguali

Giustizia sociale, vecchie e nuove forme di povertà

  • Chiara Saraceno

    Direttore di ricerca - Wissenschaftszentrum Berlin für Sozialforschung

  • venerdì 26 Febbraio 2010 - 17.30
Centro Culturale

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In generale le politiche sociali – includendovi sia le politiche rivolte alle famiglie sia quelle rivolte ai lavoratori, quelle assistenziali e anche quelle dell’istruzione – possono essere lette come uno strumento di istituzionalizzazione e normalizzazione dei corsi di vita individuale. Tuttavia, come hanno osservato Leisering e Leibfried, «le tradizioni di welfare nazionali differiscono per quanto riguarda le politiche del corso della vita: perseguono modelli normativi differenti del corso della vita; intervengono nella vita delle persone in misura diversa e mettono a fuoco ambiti di policy differenti». Uno dei campi in cui c’è un elevato grado di variazione è proprio quello della gestione dei rischi sociali e delle discontinuità impreviste nel corso della vita: disoccupazione, malattia, rottura di un matrimonio, povertà. Da questo punto di vista non c’è affatto un «modello sociale europeo».
La nostra tesi è che le politiche di assistenza sociale e la costruzione dei poveri e dei socialmente esclusi come categorie sociali fanno altrettanto parte del processo per cui individui e gruppi diventano poveri o socialmente esclusi, o viceversa escono dalla povertà e dall’esclusione sociale, tanto quanto i meccanismi del mercato del lavoro o delle vicende familiari. In misura e con esiti diversi a seconda del contesto istituzionale e delle circostanze e culture locali, esse infatti offrono non solo risorse, ma definizioni sociali, non solo opportunità, ma vincoli. Come osserva Paugam, riprendendo l’intuizione di Simmel di oltre un secolo fa, «è dal momento in cui ricevono assistenza, o forse meglio dal momento in cui le loro condizioni porrebbero dar loro diritto all’assistenza che divengono pane di un gruppo caratterizzato dalla povertà. Questo gruppo non è unificato dall’interazione tra chi ne fa parte, ma dall’atteggiamento collettivo che la società nel suo insieme adotta verso di esso». Perciò il numero e le caratteristiche dei beneficiari di assistenza sociale non sono solo un buon indicatore sociale dell’affidabilità ed efficacia di un dato stato sociale nel suo insieme, ma della misura in cui le politiche del lavoro, il sistema di previdenza e sicurezza sociale, le politiche della famiglia riescono o meno a offrire sostegni adeguati. Sono anche un indicatore dei tipo di «rischi» o «fallimenti» riconosciuti come meritevoli di sostegno e a quali condizioni. Queste a loro volta concorrono a plasmare le opzioni e le percezioni dei beneficiari. Insieme alle politiche nazionali, i sistemi e le pratiche locali sono elementi cruciali di questo processo di costruzione sociale della povertà e dei poveri: sia nel senso di definire chi e che cosa sono i poveri, sia nel dare forma alle «carriere» nell’assistenza: quando vi si entra, per quanto tempo vi si rimane, per quali motivi se ne esce e con quali probabilità di ritornarvi.
Il processo di costruzione sociale della povertà e dei poveri inizia già prima che vengano realizzate misure specifiche rivolte ai «poveri» o ai «socialmente esclusi». Ciò avviene in tre modi. In primo luogo, questo processo è strettamente legato a come funziona il sistema di protezione sociale in un dato paese: il livello, il grado e la durata di copertura della disoccupazione, la presenza o meno di una pensione di vecchiaia di base a carattere universale, il grado e le forme di riconoscimento del costo dei figli, il grado di riconoscimento del lavoro familiare non pagato e così via. Là dove esistono, e a seconda del livello di generosità, queste forme di protezione possono prevenire la caduta in povertà di individui e famiglie che perciò non appaiono tra i «poveri» nonostante la temporanea mancanza di lavoro, o un reddito da lavoro insufficiente, o una storia contributiva insufficiente, o forti obbligazioni familiari legate al genere. Gli assegni per i figli sono un buon esempio di questo fenomeno, dato che dietro ai «lavoratori poveri» e alla povertà di famiglie che pure hanno al proprio interno un lavoratore o una lavoratrice vi è spesso uno squilibrio tra reddito familiare e numero di consumatori familiari.

(da C. Saraceno, a cura di, Le dinamiche assistenziali in Europa, Bologna, il Mulino, 2004, pp. 8-10)

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