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Una tradizione di pensiero che può essere fatta risalire a Locke enfatizza il valore dell’eguaglianza (e dei diritti naturali) e tuttavia ammette la legittimità di differenze di ricchezza anche sproporzionate (negli anni Settanta una posizione di questo genere fu brillantemente articolata da Robert Nozick). Possiamo infatti parlare di “giustizia distributiva” in molti modi, ma due di questi sono qui particolarmente rilevanti.
Possiamo immaginare un assetto di giustizia distributiva più o meno perfetto, più o meno ideale, e poi giudicare gli assetti concreti usando questo standard valutativo. Potremmo, per esempio, stabilire che il fine al quale tendere è la totale abolizione della proprietà privata e determinare che il mio e il tuo sono un segno di imperfezione. Oppure si può accettare il cosidetto principio di differenza proposto da John Rawls: le differenze sono accettabili quando le posizioni privilegiate sono aperte a tutti e le differenze comportano un vantaggio anche per chi si trova nella posizione più svantaggiata. In fin dei conti, se l’eguaglianza è giusta, o utile alla città, allora ha senso perseguirla. Aristotele ricorda le opinioni platoniche sull’argomento, che hanno come minimo il vantaggio della chiarezza: «Platone, scrivendo le Leggi, pensava […] che non si dovesse dare a nessun cittadino facoltà di acquistare una proprietà cinque volte superiore alla più piccola» (Aristotele, Politica, 1266 b).
L’altro discorso sulla giustizia distributiva si interessa invece a un problema diverso: il modo cioè con il quale una determinata posizione è stata acquisita. Se le leggi successorie sono valide e accettate, se le leggi della compravendita sono valide e accettate, allora il risultato delle transazioni economiche effettuate con i beni ereditati è giusto anche se produce, magari nel giro di qualche generazione, profonde diseguaglianze. Se il gioco d’azzardo è consentito, allora queste differenze possono essere anche più vivaci e intense, nonché collegate a fattori (da un punto di vista morale) aleatori e allo stesso tempo pregne di conseguenze sociali immense; e tuttavia possono essere anche giuste. L’impianto di Nozick (ma forse anche quello di Ronald Dworkin) va appunto in questa direzione. Come si è accennato, il secondo punto di vista ha il suo ovvio nume tutelare in Locke, che fu chiaro sull’argomento; per Locke, introducendo il denaro gli esseri umani hanno di fatto consentito a differenze sociali anche esorbitanti. Non c’è, in questo, nulla di irrazionale. Se mi autoconcepisco come un individuo situato in un particolare contesto culturale, posso preferire uno status di povertà eccitante, dove in fondo potrei trasformarmi in un riccastro gaudente se ho la fortuna di acquistare il biglietto vincente della lotteria di Babilonia, se ho l’idea giusta al momento giusto, se il mercato azionario o la roulette premiano il mio coraggio (o il mio amore per il rischio), a uno stato di sonnolento e mediocre benessere, a una vita senza speranza di colpi di scena e di rapide scalate sociali.
Riferimenti Bibliografici
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