Innovazione

Il caso della proprietà intellettuale

  • Michele Boldrin

    Professore di Economia - Washington University of Saint Louis

  • venerdì 01 Marzo 2013 - 17.30
Centro Culturale

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Mentre infuria l’arroventato dibattito a proposito di copyright e brevetti, esiste un accordo generale sul fatto che qualche tipo di protezione sia necessaria per salvaguardare i frutti del lavoro di inventori e creatori. La frase grondante retorica «l’informazione vuole essere libera» suggerisce che nessuno dovrebbe trarre vantaggi dalle proprie idee, il che, ovviamente, fa sorridere chiunque vive producendo idee utili. Nonostante alcuni sostengano che le idee debbano essere sempre e comunque gratuite, non sono molte le persone convinte che inventori e creatori debbano sopravvivere grazie alla carità altrui!
Al di là delle forti tensioni, entrambe le parti concordano sul fatto che la legislazione sulla proprietà intellettuale debba definire una qualche saggia via di mezzo tra la necessità di fornire sufficienti incentivi alla creazione e il desiderio di rendere più gratuite possibile le idee già esistenti. Detto altrimenti: nonostante litighino sul prezzo, entrambe le parti concordano sul fatto che i diritti di proprietà intellettuale siano una specie di male necessario che favorisce l’innovazione; il disaccordo è su dove dovrebbero essere tracciati i confini di tali diritti. Per i sostenitori della proprietà intellettuale, gli attuali profitti di monopolio sono appena sufficienti; per gli avversari tali profitti sono troppo alti.
La nostra analisi porta a conclusioni che sono in disaccordo con entrambe le parti. La logica del nostro ragionamento è la seguente: tutti vorrebbero essere detentori di un monopolio e nessuno vuole competere con i propri clienti, o con gli imitatori. Attualmente i brevetti e il copyright accordano un monopolio ai «creatori» di certe idee. Ora, è certo che pochissime persone fanno qualcosa in cambio di niente. I creatori di nuovi beni non sono diversi dai produttori di copie dei vecchi beni, per esempio le scarpe: entrambi vogliono vedere il proprio sforzo ricompensato. Tuttavia, c’è un’enorme differenza tra l’affermare che gli innovatori meritano una ricompensa per i loro sforzi e concludere che brevetti e copyright – ovverosia il monopolio intellettuale – siano l’unica o almeno la via migliore per garantire tale ricompensa. Esistono molte altre strade per ricompensare adeguatamente gli innovatori, di gran lunga preferibili, per la società nel suo insieme, al potere di monopolio che brevetti e copyright attualmente conferiscono. Dal momento che gli innovatori possono ricevere e di fatto ricevono abbondanti compensi anche senza brevetti e copyright, risulta opportuno chiedersi: è poi vero che la proprietà intellettuale raggiunge il fine che si propone, ossia di creare incentivi per l’innovazione e l’invenzione? È vero, inoltre, che gli incentivi creati dalla proprietà intellettuale compensano i considerevoli danni sociali che essa provoca?
Le conclusioni a cui siamo giunti sono le seguenti: i diritti di proprietà dei creatori di idee nuove possono essere ben protetti anche in assenza di proprietà intellettuale, la quale non stimola né innovazione né creazione. Nella nostra analisi il punto cruciale non sta nell’affermare che i produttori di idee nuove guadagnano troppo a causa di copyright e brevetti, ma che la proprietà intellettuale costituisce un male inutile, in quanto non genera maggiore innovazione ma solo ostacoli alla diffusione di ulteriori nuove idee. Dovrebbe pertanto essere progressivamente abolita perché ha come unico risultato la creazione di dannosi monopoli.

(da M. Boldrin e D.K. Levine, Abolire la proprietà intellettuale, Roma-Bari, Laterza, 2012, pp. 9-10)*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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