Scienza e società

La democrazia nell'epoca della tecnoscienza

  • martedì 12 Febbraio 2013 - 17.30
Centro Culturale

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Nell’ultimo decennio il perdurare di preoccupazioni da parte del pubblico su alcune questioni tecnoscientifiche, la crescente domanda di coinvolgimento da parte dei cittadini su tali questioni, il proliferare di esempi di non esperti che contribuiscono attivamente a dar forma all’agenda di ricerca in settori quali la biomedicina, hanno portato a ripensare il significato stesso di comunicazione della scienza in varie arene. (…) In vari Paesi e anche a livello europeo, le parole chiave degli schemi di finanziamento e dei documenti di policy sono slittate da «consapevolezza pubblica della scienza» a «coinvolgimento dei cittadini», da «comunicazione» a «dialogo», da «scienza e società» a «scienza nella società». Sono fiorite iniziative che mirano a stimolare l’input del pubblico sulle questioni e le decisioni in ambito scientifico e tecnologico. Alcuni studiosi hanno introdotto una nozione di «co-produzione di conoscenza» per descrivere forme intense di partecipazione dei non esperti nella definizione e nell’accreditamento della conoscenza scientifica, come nel caso di associazioni di pazienti che contribuiscono attivamente a stabilire le priorità della ricerca biomedica, o nel caso di gruppi di cittadini che raccolgono dati epidemiologici tali da indurre gli esperti a ripensare l’eziologia di una certa patologia. Queste forme sono state interpretate come un cambiamento significativo non solo rispetto al modello del deficit, ma anche rispetto alle sue critiche sociologiche. Secondo Callon la versione critica della «consapevolezza pubblica della scienza» fa slittare le priorità da «l’educazione di un pubblico scientificamente analfabeta» all’esigenza e al diritto del pubblico di partecipare nella discussione, assumendo che «le persone comuni hanno saperi e competenze che integrano e completano quelle degli scienziati e degli specialisti». Tuttavia, entrambi i modelli sembrano condividere un’ossessione comune: quella della demarcazione. Il primo modello in modo più aggressivo, il secondo modello in modo più gentile e pragmatico, entrambi negano alle persone comuni qualsiasi competenza a partecipare alla produzione dell’unica conoscenza provvista di valore: quella che si merita il termine «scientifico». Su questa base, è stata invocata l’esigenza di uno scarto più sostanziale verso un modello di co-produzione della conoscenza in cui i non esperti e la loro conoscenza locale possono essere concepiti non come un ostacolo da superare per mezzo di opportune iniziative educative (come nel modello del deficit), né come un elemento addizionale che si limita semplicemente ad arricchire l’expertise degli specialisti (come nel modello critico-dialogico), ma piuttosto come essenziali alla stessa produzione di conoscenza. Le due forme di sapere non sono prodotte indipendentemente in contesti separati per poi incontrarsi successivamente, ma risultano da processi comuni condotti entro «forum ibridi» in cui possono interagire specialisti e non specialisti. (…)

A questo proposito suggerisco in primo luogo di prestare attenzione alla dimensione del contesto. Una delle lezioni della «svolta sociologica» in questo ambito di studi è che la comunicazione pubblica della scienza non può essere compresa in un vacuum; deve invece essere analizzata non solo nel contesto delle interazioni tra esperti e cittadini, ma anche nel più ampio contesto della scienza nella società. Questa raccomandazione, apparentemente elementare, ha numerose implicazioni significative. Una prima implicazione è che non possiamo applicare in modo non problematico modelli di comunicazione della scienza (come quello legato a un’idea diffusionista e divulgativa), perlopiù sviluppati nel contesto di una ricerca scientifica condotta da un numero relativamente piccolo di istituzioni legate allo Stato, a un contesto di ricerca scientifica caratterizzato da pervasive relazioni con i mercati, da una dimensione globale e da una forte pressione in termini di pubbliche relazioni. Inoltre la scienza contemporanea sta mettendo in discussione, in misura crescente, la stessa idea di una distinzione netta tra produttori e utilizzatori di conoscenza, che è alla base di una visione della comunicazione della scienza in termini diffusionisti, di deficit e di trasferimento. Aziende, organizzazioni ambientaliste e gruppi di pazienti si sono ormai consolidati come fonti e soggetti legittimi nella comunicazione della scienza. Una caratteristica del contesto contemporaneo della scienza nella società è anche la sua intrinseca eterogeneità e frammentarietà: la comunicazione è esposta alle pressioni contraddittorie verso la privatizzazione della conoscenza e la sua trasformazione in bene di consumo, a quelle verso l’open access e la libera condivisione dei risultati di ricerca, alle richieste dei cittadini di maggiore coinvolgimento. Tutto ciò rende scarsamente plausibile l’utilizzo di un solo modello di comunicazione della scienza per dar conto della varietà di configurazioni contemporanee nel rapporto tra esperti e pubblico.
(da M. Bucchi, Dal deficit al dialogo, dal dialogo alla partecipazione – e poi? Modelli di interazione tra scienza e pubblico, in «Rassegna Italiana di Sociologia», XLIX, n. 3, 2008, pp. 389-391)*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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