Le anime della città

Modelli e principi della metropoli postmoderna

  • venerdì 03 Dicembre 2010 - 17.30
Centro Culturale

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La città in cui oggi viviamo è segnata dalla riflessività, dalla consapevolezza che il futuro non sia scritto nel passato ma sia, invece, l’esito di una scelta di cui sono protagonisti coloro che la governano e la vivono. La volontà degli uomini, che nella cultura occidentale a partire da quella greca si è sempre combinata con il caso nel definire il destino della città, si propone oggi come assolutamente centrale. Comincia ad apparire nel lessico di urbanisti e amministratori il concetto di «tempo aperto», di un futuro, cioè, non scontato. Con esso si presenta l’esigenza di guardare lontano, più di quanto abbiano richiesto i tradizionali strumenti di pianificazione e di governo fondati essenzialmente sulla tecnica dell’estrapolazione, con cui il domani veniva previsto sulla base delle tendenze in atto. Il futuro era, in questa prospettiva, la logica conseguenza del presente e del passato. Oggi la prospettiva è diversa. I piani strategici, di cui ormai nessuna città italiana sembra poter fare a meno, si legittimano in quanto strumenti per costruire il futuro – discontinuo rispetto al passato – della città grazie a un diffuso e forte consenso.
L’incompletezza o la non finitezza della città è il dato da cui partire. Essa, contrariamente a quanto spesso si pensa, non è una colpa o una mancanza, ma è l’essenza stessa della città. La Torre di Babele della narrazione biblica, arcinoto simbolo della città, è incompleta e la sua condizione è, secondo l’interpretazione canonica, dovuta all’orgoglio degli uomini. È una punizione di Dio; essa è, probabilmente, la prima sospensione dei lavori della storia. Per un edificio, l’incompiutezza è un difetto: è ciò che rende visibile la distanza tra l’obiettivo e il risultato raggiunto. La torre incompiuta di Babele può essere invece vista come l’immagine dello scarto strutturale tra le ambizioni illimitate dell’uomo e la sua reale capacità di soddisfarle. L’incompletezza, dunque, come limite umano e come segno dell’eccesso di ambizioni. È, però, possibile leggere diversamente la torre spezzata, nota a tutti per i quadri di Gustave Doré e di Bruegel il Vecchio. La città, per definizione, non è mai completa e completata. Poiché il divenire è l’essenza stessa della città, i tempi di questa non possono che essere coniugati al futuro. Scrive a questo proposito Jacques Derrida parlando dell’assioma d’incompletezza: «Una città è un insieme che deve restare indefinitamente, strutturalmente non saturabile, aperto alla propria trasformazione, a delle aggiunte […]. Una città deve restare aperta al fatto che essa sa che non sa ancora che cosa sarà: bisogna inscrivere, e come un tema, il rispetto di questo non-sapere nella scienza e nella competenza architettonica e urbanistica» (Adesso l’architettura, trad. it., Milano, 2008, p. 248).
L’incompletezza della Torre di Babele crea lo spazio per una progettualità che proietti la città nel futuro. Priva della capacità di immaginarsi altro da ciò che è, la città si rinsecchisce e muore. C’è oggi una crescente domanda di progettualità senza la quale i singoli progetti non hanno senso e, soprattutto, perdono di efficacia. Ciò che la gente chiede sempre più spesso a chi la governa è una promessa di città che sia insieme plausibile e adeguata alla domanda. La nuova progettualità si fonda su questa promessa ed è legittimata dalla domanda che la genera.(da G. Amendola, Tra Dedalo e Icaro. La nuova domanda di città, Roma-Bari, Laterza, 2010, pp. 11-13)*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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