Per tutto il Novecento, il possesso dell’automobile è stato considerato un elemento cardine dello sviluppo, e il traffico una sorta di legame con la modernità, visto che l’automobile, principale status symbol, ha bisogno di libertà di movimento e di estensione spaziale. Il «culto della macchina» ha dunque preso talmente piede che le città hanno rinunciato allo spazio, al silenzio, alla vita civile nelle strade e nelle piazze. L’assoluto dominio dell’auto privata e la sua importanza come simbolo di benessere hanno provocato una vera e propria assuefazione alla sua presenza. Ormai nessuno più si meraviglia se strade e piazze pubbliche sono diventate posteggi di auto private e la domanda più frequente che i cittadini pongono agli amministratori comunali è: «Dove devo mettere la macchina?».
Il danno di questa mentalità diffusa si ripercuote sulla vita di tutti, a partire da quelli che non guidano l’auto. Le auto sono di fatto le nuove padrone della città, è per loro che si studiano rimedi e facilitazioni, in loro favore si effettuano gli interventi più radicali e più costosi. Si pensi ai piani di nuovi parcheggi nelle grandi città. È a loro che i vigili urbani dedicano gran parte del proprio tempo e delle proprie energie. L’invasione dell’automobile ha portato errori urbanistici irreparabili. Anziché progettare in modo che i residenti potessero fare a meno dell’auto, si è cercato a tutti i costi di darle spazio, talvolta anche prevedendo sventramenti di palazzi in alcune direttrici, per creare strade di scorrimento, o parcheggi. Pochissimi avevano previsto, negli anni del secondo Novecento, quando si è registrato il maggiore boom edilizio della storia italiana, in quale misura si sarebbe accresciuto il numero di automobili e quali sarebbero state le conseguenze nefaste in termini di vivibilità dei centri urbani e di salute per i cittadini. Nella situazione attuale, sembra che le città e soprattutto i loro abitanti non possano vivere senza auto. Eppure, dovrebbero imparare a farlo, per raggiungere un maggior benessere. Molte città del mondo, in questi primi anni del XXI secolo, hanno avviato una sorta di transizione ecologica, con l’intento di modificare il volto dell’urbanizzazione del XX secolo, trainata dall’errata impostazione stradale. Tale impostazione aveva infatti messo al centro l’autoveicolo, relegando ai margini ciclisti e pedoni, o meglio non considerandoli come soggetti a sé stanti, pensando quindi che potessero condividere la strada con i mezzi a motore, come avevano fatto per secoli con carri, carrozze, cavalli. Persino gli autobus sono succubi delle auto, nel senso che nella maggior parte dei casi circolano insieme alle automobili e rimangono imbottigliati nel traffico, senza che la loro utilità pubblica sia valorizzata.
Le normative e le tariffe sono di estrema importanza per diffondere la cultura della mobilità, che può prendere direzioni diverse a seconda di come viene orientata. Per ottenere un miglioramento nella qualità della vita, in particolare nelle città, bisogna che la mobilità attiva e la mobilità collettiva trovino spazio e siano incentivate. Ad esempio, occorre dotare i residenti di abbonamenti a prezzo molto ridotto, in modo che siano fidelizzati al mezzo pubblico. Allo stesso tempo, è opportuno per le città e per le aree turistiche attivare biglietti giornalieri e plurigiornalieri, in modo che anche i visitatori possano usare i mezzi, senza spostarsi con auto private. I motivi della preferenza accordata ai mezzi privati rispetto a quelli pubblici stanno nella rapidità, nell’assenza di vincoli di orario, nel comfort di viaggio, nella libertà delle rotte; dunque – se si vuole andare verso la mobilità sostenibile – occorre semplificare gli itinerari in auto privata e nello stesso tempo semplificare quelli con il mezzo pubblico. Siccome queste politiche locali dei trasporti sono di difficile comprensione per molti cittadini, è necessario attuare un’azione a livello di mentalità collettiva, di cultura e di percezione dei problemi della mobilità.
(da S. Maggi, Mobilità sostenibile. Muoversi nel XXI secolo, Bologna, Il Mulino, 2020)