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Le teorie scientifiche sono e restano smentibili; e sempre e comunque parziali, cioè selettive di aspetti della realtà: la conoscenza della totalità, per esempio di una società, è un mito filosofico di nome olismo. Le teorie filosofiche o sono razionalmente indecidibili o sono razionali perché criticabili, e quindi non incontrovertibili. Le norme fondamentali dei sistemi etici sono proposte alla scelta e alla testimonianza di ogni singolo uomo e non sono teoremi dimostrati o principi autofondantisi: non sappiamo come fondare razionalmente i valori ultimi ai quali ci aggrappiamo per le nostre decisioni e le nostre azioni. Anche i migliori progetti – quelli in cui vengono utilizzate le conoscenze all’epoca più consolidate – comportano di necessità l’emergenza di conseguenze inintenzionali: il futuro non è e non sarà mai, nelle nostre mani.
Non solo c’è un’infinità di cose che noi non conosciamo; non solo quello che più conta per noi non può essere preda di argomentazioni razionali; non solo le nostre conoscenze sono smentibili o criticabili; non solo i nostri piani crescono e vivono nell’incertezza, e possono addirittura risolversi in esiti contrari alle intenzioni di chi ha progettato; non solo la scienza di oggi non può pianificare gli sviluppi delle conoscenze future; c’è di più: non è neppure possibile centralizzare un’immensa quantità di conoscenze di specifiche circostanze di tempo e di luogo.
Una ignoranza infinita; una conoscenza fallibile e parziale; e una dispersione tra milioni e milioni di uomini di conoscenze particolari di tempo e di luogo: sono queste alcune caratteristiche tipiche dell’homo sapiens sapiens. Ora, però, siccome vivere è risolvere problemi, se noi vogliamo risolvere i problemi è necessario che gli altri siano liberi di proporre le loro alternative, liberi di avanzare le loro critiche, liberi di puntare l’attenzione sugli esiti inattesi anche dei migliori progetti e di costruire progetti alternativi; è necessario, se vogliamo che i problemi vengano risolti, che gli altri – tutti gli altri – siano liberi di porre in azione le loro conoscenze di circostanze particolari di tempo e di luogo. E ogni uomo è libero nella scelta delle cose più alte, giacché su di esse la ragione tace. Fallibilismo e ignoranza da una parte e libertà dall’altra si stringono in un nesso indissolubile. E dov’è che non esiste libertà? Non c’è libertà là dove regna l’intolleranza. E l’intolleranza ha sempre una radice gnoseologica. L’intolleranza è sempre frutto della presunzione fatale, della presunzione di conoscere ciò che non si sa o non si può sapere; è frutto dell’abuso della ragione. […]
Intollerante in campo morale non è chi consapevolmente ha abbracciato un valore e cerca di testimoniarlo con le sue azioni e i suoi comportamenti. Alimenta l’intolleranza in campo morale la presunzione di conoscere o di avere razionalmente e magari incontrovertibilmente fondato quello che è il vero valore: un valore vero ed assoluto che esclude gli altri valori come disvalori e che induce a lotte non di rado crudeli. L’intolleranza politica trova il suo fondamento in teorie storiciste (si pensi al marxismo) dove si presume di essere a conoscenza delle ineluttabili leggi della storia; oppure si basa sul presupposto di avere scoperto e di conoscere chi è che deve comandare; ovvero, ancora, si fonda sull’altra presunzione che qualcuno o qualche gruppo, qualche classe, qualche razza o questo o quel popolo sa quale è – e come realizzare – la società perfetta. In economia è intollerante chi pensa di conoscere gli essenziali e fondamentali bisogni altrui; e, simultaneamente, crede di sapere come pianificare centralisticamente l’intera attività economica. La realtà è che chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini. La pianificazione centralizzata è la via della schiavitù. Essa equivale alla dittatura sui bisogni, alla distruzione della ricchezza e all’annientamento della libertà degli individui.
La presunzione fatale, cioè l’abuso della ragione, è la via della schiavitù. Ed è sul tesoro della consapevolezza della nostra fallibilità e della nostra ignoranza che fiorisce la libertà.
(da D. Antiseri, Ragioni epistemologiche della società aperta, in C. Altini, a cura di, Democrazia. Storia e teoria di un’esperienza filosofica e politica, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 194-196)*
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