Cunto della battaglia di Roncisvalle

  • lunedì 28 Febbraio 2005 - 21.00
VivaVoce

[…] Il cunto siciliano è il racconto delle storie epico-cavalleresche che si tramandano di padre in figlio, o da maestro ad allievo, fin dal medioevo. Tutte queste storie finirono per arrivare anche in Sicilia, in questa terra un po’ particolare, di pescatori e gente di mare, in cui il tempo è più lento e dura un po’ più che altrove. Il cunto dei cuntisti veri, quello in migliaia di puntate, si faceva infatti soprattutto nei villaggi di mare, dove i pescatori ascoltavano e poi riraccontavano, inventavano. Io ricordo che da bambino a Terrasini, vicino a Palermo, andavo ad ascoltare il mio maestro Peppino Celano. La gente pagava e non si accontentava solo della storia, ma esigeva anche una certa dose di virtuosismo affabulatorio. Ai miei tempi bisognava ascoltare il maestro almeno per dieci quindici anni prima di pensare a “cuntare” in proprio. Gli allievi, poi, avevano un ruolo importante. Sistemavano lo spazio scenico, la postazione, “o posto”, sistemavano le sedie, la pedanina o un tavolaccio sotto i piedi, raccoglievano i soldi di sedia in sedia o ritiravano un “pagamento” alla cassa se si recitava al chiuso. Alcuni fra i più richiesti cuntisti infatti d’inverno affittavano un “Malaseno”, parola araba che ancora oggi usiamo e che significa “magazzino”, e lì “cuntavano”. Vicino alla Cala, sotto le mura, c’era la postazione fissa di Totò Palermo, uno dei più bravi cuntisti siciliani, il quale aveva a sua volta ereditato questo spazio dal suo predecessore. Oltre alla spada di legno tradizionale, Totò Palermo usava anche un bastone col quale scandiva i colpi sulla pedana ogni qualvolta elencava i paladini. Così facendo si prendeva un tempo più lungo rispetto agli altri, ma ciò gli consentiva di soffermarsi in descrizioni più dettagliate di ogni singolo personaggio, offrendo sfumature e dettagli così ricchi e approfonditi che sembrava che li avesse conosciuti veramente. […]

Mimmo Cuticchio
(da una intervista di Gianluca Citterio)

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