La creazione dei generi nel pensiero cristiano

Tra grazia e natura

  • Cettina Militello

    Direttrice della cattedra "Donna e Cristianesimo" - Pontificia Facoltà Teologica "Marianum", Roma

  • venerdì 18 Gennaio 2013 - 17.30
Centro Studi Religiosi

Vorrei rilanciare la necessità di sciogliere diversamente alcune categorie del teologizzare, categorie assolutamente obbligate, senza le quali lo stesso discorso teologico non può dispiegarsi: mi riferisco innanzitutto al concetto di natura e al concetto di persona. Solo chiarificandoli, la relazionalità del genere – personalmente vedo l’utilità molteplice di questa categoria – consentirà di leggere, oltre il funzionalismo residuo e forse latente, la reciprocità maschio-femmina, e in essa e per essa il mistero della differenza che originariamente è iscritta nel mistero di Dio e che, in forza dell’immagine, è iscritta anche nel mistero dell’essere umano, maschio e femmina. La pesantezza del dire maschile e femminile, la sua incongruità, nasce dal fatto che l’occidente si è asserragliato attorno a una concezione statica di natura. Non solo perché di questo prius fondazionale non ha colto la concettualizzazione via via culturata, ma perché, stretto in una concettualizzazione binaria e polare, ha pensato antinomico e incolmabile il rapporto tra la natura dell’uomo e la natura di Dio. Posta in essere da Dio, la condizione umana, pur altra e diversa dal divino, alla luce della rivelazione soprattutto, ci appare come accadimento dinamico, segnato da quella che a ragione l’oriente ha chiamato divinizzazione. Essa ha certamente luogo in virtù della grazia, della potenza ed energia divina partecipata gratuitamente all’uomo, ma vi è un’originaria e profonda corrispondenza, una capacità intrinseca dell’essere umano ad avvertire e tradurre la sua chiamata al mistero di Dio, a essere reso partecipe della sua stessa natura. È quello che, superando ogni rischio di esigenzialismo, Tommaso d’Aquino ha detto «connaturalità» dell’uomo con Dio. Tutto ciò la tradizione occidentale ha letto nei termini contrapposti di natura e grazia, facendo della natura un fatto statico e della grazia un fatto dinamico, ma in certo qual modo condizionato dalla staticità stessa della natura. Natura e sopranatura sono rimaste realtà estranee, forzosamente unificate nell’esperienza credente, senza soluzione di continuità, senza dolce e docile passaggio dall’una all’altra. Mentre, mi si corregga, il senso del rivelarsi di Dio e soprattutto l’incarnazione del Verbo, e con essa la definitiva irruzione dello Spirito nella storia dell’umanità, suggeriscono piuttosto una natura dinamica che muova «connaturalmente» verso la divinizzazione e la gloria. L’aporia culturale e teologica che aliena e separa i sessi potrà sciogliersi veramente nell’abbandono di tale concezione di natura, nell’acquisizione definitiva, sempre perfettibile, di una crescita, di uno sviluppo, che la stessa naturalità umana e creata conduce alla transignificazione voluta da Dio e di cui l’umanità e il creato già recano i segni indicatori. Dunque una concezione dinamica, il convincimento di un continuum di grazia che lega strettamente creaturalità e divino. Il senso della creaturalità sta nella domanda di divino posta al suo interno, nella capacità di accoglierlo e di farlo proprio. Tutto ciò si gioca sul piano della persona, della sua costitutiva reciprocità, della sua altrettanto costitutiva assolutezza e singolarità. La naturalità divinizzante di una natura dinamica ha senso in un universo relazionale, personale. È l’essere persona ciò che propriamente apre alla relazionalità dell’uomo con Dio e di Dio con l’uomo, rendendo possibile a quest’ultimo la scoperta e l’accoglienza della sua vocazione e del suo dono. È l’alterità la relazione, la cifra profonda dell’essere di Dio e dell’essere dell’uomo. Sotto questo aspetto non si dà differenza. La differenza tocca la complessità diversa, la qualità altra della relazione in Dio e della relazione nell’uomo. In ogni caso, la relazionalità di Dio si esprime nel mistero della reciprocità delle divine persone, ed è questo il paradigma di ogni possibile reciprocità infraumana. Nella compiutezza di una natura in fieri verso la piena divinizzazione, la reciprocità maschio-femmina diventa il paradigma dell’infinita e radicale dialogia delle divine persone.

(da C. Militello, Visibilità e invisibilità teologica delle donne dall’età dei padri alla nascita del femminismo, in Id., a cura di, Donna e teologia. Bilancio di un secolo, Bologna, EDB, 2004, pp. 54-55)*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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