Wittgenstein e l'interpretazione

  • Luigi Perissinotto

    Professore di Filosofia del linguaggio - Università Ca' Foscari di Venezia

  • venerdì 13 Maggio 2016 - 17.30
Scuola Alti Studi

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Wittgenstein intende mantenere e difendere la distinzione tra comprendere e interpretare. Affermare che «comprendere è, in realtà, interpretare», del resto, sarebbe una mossa riduzionistica interamente estranea all’impostazione wittgensteiniana. Un passo della Grammatica filosofica è, da questo punto di vista, particolarmente chiaro e perentorio: «Accade naturalmente che io interpreti (deute) segni, dia ai segni un’interpretazione (eine Deutung); ma certamente non ogni volta che capisco un segno!» (Grammatica filosofica, I, § 9). Il contesto in cui il passo è inserito (ma le citazioni e i riferimenti potrebbero essere moltiplicati con facilità) mostra come Wittgenstein ritenga che si possa parlare in modo sensato di interpretazione (Deutung) solamente in riferimento a quelle circostanze in cui ci si trova a poter scegliere tra due o più alternative: un’interpretazione è questa interpretazione, solo in contrapposizione a un’altra (possibile) interpretazione. Wittgenstein si spiega con questi due semplici esempi: «Se mi si chiede “Che ora è?”, in me non ha luogo nessun lavoro di interpretazione (keine Arbeit des Deutens), semplicemente reagisco a quel che vedo e odo. Se uno mi sguaina un coltello in faccia non gli dico: “L’interpreto come una minaccia”» (I, § 9).
Come ricordato nell’Introduzione, ciò non esclude che si possano descrivere dei contesti reali o immaginari in cui sarebbe del tutto sensato dire «L’interpreto come una minaccia». Ma si tratterebbe, per l’appunto, di contesti in cui lo sguainare il coltello potrebbe anche essere interpretato come uno scherzo o come un segno di bonaria spavalderia; e via immaginando. Lo stesso vale per il primo esempio: se qualcuno mi ferma per la strada e mi chiede l’ora, «semplicemente reagisco a quel che vedo e odo». Ma se qualcuno mi chiedesse «Che ora è?» subito dopo che la radio ha annunciato l’ora esatta, potrei esitare e chiedermi se quella domanda vada proprio interpretata come una domanda. Una conclusione importante che possiamo trarre è che distinguere tra comprendere e interpretare non obbliga affatto a sostenere che vi sono degli enunciati (dei simboli; delle immagini) che, per così dire, dettano il modo in cui devono essere compresi sottraendosi così a ogni possibile interpretazione. Quando non si interpreta più non è perché non si possa più interpretare: «Non che questo simbolo non si possa più interpretare: sono io che non interpreto. Non interpreto perché mi sento perfettamente a mio agio (heimisch) nell’immagine attuale» (Zettel, § 234 ). In questo passo di grande rilievo Wittgenstein attira la nostra attenzione su almeno due punti: (a) nessun simbolo (enunciato, immagine) è, in quanto tale o di principio, sottratto all’interpretazione. I confini tra ciò che non interpretiamo (ciò che non richiede alcun lavoro interpretativo) e ciò che interpretiamo possono essere diversamente tracciati, a seconda del variare, più o meno radicale, delle circostanze. Ciò che ora non viene interpretato, ma semplicemente compreso, potrebbe, in altri contesti, esigere un intenso lavoro di interpretazione; (b) la prospettazione di una tale eventualità, tuttavia, non giustifica in alcun modo il sospetto che il mio non attuale interpretare sia il frutto di avventatezza e superficialità. Qui si può estendere all’interpretazione quello che Della certezza dice del dubbio: il fatto che possa immaginare delle circostanze in cui potrei dubitare di ciò di cui ora non dubito non rende per nulla sospetto il mio attuale non dubitare: «Quello che devo far vedere è che un dubbio non è necessario, neanche quando è possibile» (Della certezza, § 392).
(da L. Perissinotto, Le vie dell’interpretazione nella filosofia contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 109-110)*

 

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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