La condanna della memoria

Strategie del controllo culturale nell'Inquisizione romana

  • martedì 04 Dicembre 2001 - 17,30
Centro Studi Religiosi

La morte non valse al monaco siciliano [Giorgio Siculo] un posto nel martirologio delle lotte religiose del Cinquecento. Si verificava così a suo danno il principio antico per cui non il sangue versato ma la buona causa faceva il martire. E tra le cause “buone” per cui si entrava nei nuovi cataloghi di martiri non c’era quella per cui Siculo era morto. L’età dei conflitti di coscienza riportò in auge le vite dei martiri del cristianesimo primitivo e dette nuova attualità all’uso della memoria eroica della religione perseguitata dalle origini. Le “passioni dei martiri” avevano dato sostanza di tradizioni comuni al cristianesimo medievale; ora con lo stesso strumento si fondava la nuova identità delle chiese nate dalla Riforma. (…)
Ma nella storia dei “veri martiri” come fu selezionata e fabbricata dalle chiese uscite vincitrici dalla nebulosa dei conflitti religiosi del Cinquecento, il monaco siciliano non aveva diritto a entrare. Falso martire, martire del diavolo, il Siculo fu condannato alla cancellazione della memoria dal mondo cattolico e da quello delle chiese della Rifor
ma. La sua scelta di morire coraggiosamente senza chiedere pietà gli valse solo un silenzio carico di riprovazione: non lo si collocò né tra i pazzi, né fra i traditori.
Com’era già avvenuto per la tradizione dei martirologi antichi, le tradizioni create nel momento della frattura e della lotta furono ereditate dalla storiografia come memoria ufficiale di comunità e stati. (…) Giorgio Siculo, apparentemente, non fu il martire di nessuno; non una voce di protesta, non una rievocazione appassionata delle ultime ore del condannato raggiunsero allora i tanti lettori che in Europa si appassionavano a questi racconti e imparavano a detestare gli avversari di fede dalla lettura delle loro atrocità e da quella delle gesta dei propri confratelli di fede imprigionati e mandati a morte. Da allora in poi un silenzio spesso e compatto avvolse il nome e l’opera del monaco siciliano. Le autorità ecclesiastiche che ne vollero la morte contribuirono alla cancellazione delle sue opere e della sua memoria, come facevano normalmente per ogni condannato per eresia. Ma, nel caso del Siculo, alla “damnatio memoriae” deliberata si aggiunse l’assenza di eredi che ne rivendicassero e ne rinverdissero il ricordo.

(da A. Prosperi, L’eresia del Libro Grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Milano 2000, pp. 21-23)

Riferimenti Bibliografici


- E. Brambilla, Alle origini del Sant'Uffizio, Bologna 2000*;
- D. Cantimori, Eretici italiani del Cinquecento e altri scritti, Torino 1992*;
- Disciplina dell’anima, disciplina del corpo, disciplina della società tra Medioevo ed età moderna, a cura di P. Prodi, Bologna 1994*;
- A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino 1996*.

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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