Riti di degradazione

Processi politici e ricostruzione della memoria nazionale

  • giovedì 24 Gennaio 2002 - 17,30
Centro Studi Religiosi

I processi di delegittimazione politica sono prodotti da cause strutturali, ma, per essere efficaci, devono essere codificati simbolicamente, cioè devono essere espressi a livello culturale. Uno dei momenti culminanti di tale codifica simbolica si verifica quando coloro che detengono il potere vengono spogliati delle insegne dell’autorità. Spesso ciò avviene attraverso vere e proprie cerimonie di degradazione in pubblico che, nel distruggere l’identità sociale degli ex-potenti, ricostruiscono ritualmente la collettività minacciata dal processo di delegittimazione e riassumono complesse forme di mutamento politico fissandone il significato in maniera univoca.
La lezione illustra la struttura e la dinamica dei rituali di degradazione concentrandosi sui processi politici di corruzioni che hanno avuto luogo in Italia nella prima metà degli anni 90. Particolare attenzione è dedicata alla persistenza nel tempo degli effetti della degradazione.
Una cerimonia di degradazione può essere definita come un insieme di attività comunicative articolate intorno ad una denuncia pubblica e dirette a trasformare l’identità sociale di un individuo in un’altra di rango più basso. Le cerimonie di degradazione appartengono dunque alla grande famiglia dei riti di passaggio: al loro centro sta un duplice processo di de-identificazione e di ri-identificazione, mediante il quale un mutamento di status viene pubblicamente riconosciuto e ratificato.
Dal punto di vista funzionale, bisogna distinguere gli effetti sociali della degradazione dai suoi risultati per l’individuo degradato. I primi sono di due tipi. In primo luogo, come ha sottolineato Durkheim nella sua teoria della pena, un sentimento di indignazione morale espresso mediante una denuncia pubblica ha l’effetto di rinsaldare la solidarietà del gruppo ricompattando il corpo sociale, sia che la denuncia sia giustificata sia che l’accusato funga da capro espiatorio. In secondo luogo, i rituali di degradazione hanno una cruciale funzione cognitiva, in quanto confermano (o ridefiniscono) i confini simbolici tra moralità ed immoralità.
Infine, va sottolineato il ruolo del pubblico. Una cerimonia di degradazione senza testimoni, senza spettatori sarebbe impensabile. Ma oltre alla presenza del pubblico, anche le sue dimensioni sono cruciali perché hanno un evidente rapporto con la natura dell’accusa e la generalizzabilità dei suoi effetti. Nelle degradazioni efficaci esiste, cioè, un basilare principio di equivalenza tra carattere e entità dell’offesa, valori a cui si richiama l’accusa, e ampiezza del pubblico. Per esempio sarebbe chiaramente sproporzionato per un padre denunciare mediante lettere inviate ai giornali il comportamento del figlio colpevole di avergli mancato di rispetto. In casi come questi, almeno nelle nostre società, l’accusa, e l’eventuale degradazione che ne deriva, ha luogo normalmente all’interno della famiglia e alla presenza di pochi intimi. Di conseguenza gli effetti della degradazione, anche se possono essere di grande importanza all’interno della cerchia familiare, sono difficilmente esportabili in altri contesti.
Questa breve analisi si propone solo di richiamare l’attenzione sull’insufficienza di quelle spiegazioni che attribuiscono la caduta della Prima Repubblica semplicemente ad una crescente insoddisfazione popolare nei riguardi del ceto politico verificatasi prima dello scandalo. In tutte le congiunture politiche fluide, le definizioni consuete dell’ordine politico sono messe in discussione: ma questa volta questi effetti di delegittimazione sono stati fortemente acuiti dal contrasto, interno all’apparato statale, tra “Palazzo” e potere giudiziario e dal forte appoggio che i media hanno dato a quest’ultimo. In nessun momento della storia italiana del dopoguerra, il re era apparso così nudo. Da questo punto di vista il contrasto con il periodo del terrorismo è istruttivo. Allora, nonostante la insoddisfazione degli italiani per il funzionamento delle istituzioni, non meno alta che negli anni pre-Tangentopoli, e la conclamata presa di distanza dallo stato di numerosi intellettuali, l’alleanza fra importanti forze politiche, cruciali settori statali (magistratura e apparati repressivi) e mezzi d’informazione mantenne la percezione della legittimità del sistema politico. Nel caso di Tangentopoli, invece, la legittimità del regime è caduta in maniera rapidissima, come un castello di carte.
È in questo contesto di sconcerto cognitivo che è sempre prodotto dai processi di delegittimazione che va compresa la funzione del processo Cusani. Esso
ha costituito un primo passo, anche se parziale, sulla via della normalizzazione. Da una parte ha funzionato come un rituale di degradazione dei colpevoli, confermando che la classe politica al potere era intimamente corrotta e non più redimibile. Dall’altra ha rappresentato una cerimonia di purificazione collettiva, esprimendo con forza il principio che anche i politici più potenti erano soggetti all’autorità della legge, che la società era capace di reagire, che quando il male era diventato visibile a livello pubblico era possibile riconoscerlo come tale ed estirparlo dal corpo sociale. Infine, ha ridefinito di fronte all’opinione pubblica i mutati rapporti tra settore politico, settore della magistratura e settore dei media, mostrando che la nazione poteva contare su un potere giudiziario indipendente e su una stampa autonoma. Ma soprattutto, riassumendo e sigillando ritualmente la crisi di delegittimazione di un intero ceto politico di governo, il processo Cusani ha imposto una cornice simbolica sugli eventi e ha reso il loro significato assai meno negoziabile. Dopo il processo, sarebbe stato estremamente difficile definire la vicenda in maniera diversa da come essa era stata caratterizzata dal pubblico ministero.

Riferimenti Bibliografici


– F. Battisti, Sociologia dello scandalo, Bari 1982;*
– L. Boltanski, L’amour et la justice comme compétences, Paris 1990;
– R. Cartocci, Tra Lega e Chiesa, Bologna 1994;
– S. Cavicchioli - I. Pezzini, La tv verità da finestra sul mondo a panopticon, Torino 1993;
– D. Dayan - E. Katz, Le grandi cerimonie dei media. La storia in diretta, Bologna 1992;
– P.P. Giglioli - S. Cavicchioli - G. Fele, Rituali di degradazione, anatomia del processo Cusani, Bologna 1997.*

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

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