La cultura dell'anomalia

L'Italia e gli altri

  • Donald Sassoon

    Professore di Storia europea comparata - Queen Mary College, Università di Londra

  • venerdì 01 Aprile 2011 - 17.30
Centro Culturale

Il mercato e il sistema della libera iniziativa hanno svolto la funzione principale nella diffusione dei beni di consumo nella società italiana. Ma questo è stato solo un aspetto della sua trasformazione sociale. Come in tutto il resto d’Europa, lo Stato è dovuto intervenire per tenere i costi più bassi di quanto sarebbero stati, nazionalizzando alcuni fattori produttivi come l’energia, e alcuni segmenti fondamentali delle infrastrutture nazionali – come i trasporti – e sovvenzionandoli con fondi pubblici. Inoltre lo Stato ha dovuto anche assicurare il mantenimento di livelli minimi di sanità, alloggi, istruzione e assistenza agli anziani. In altre parole, anche l’Italia è dovuta diventare uno Stato sociale. Come in altre nazioni europee questo tipo di Stato è stato conseguito e mantenuto sul presupposto che lo sviluppo economico sarebbe stato costante. In Italia fu cosi per gran parte degli anni cinquanta e buona parte degli anni sessanta. Sviluppo economico e Stato sociale hanno costituito la base per il compromesso non scritto tra gruppi economici dominanti e classe operaia, che ha assicurato un notevole grado di pace sociale in una parte dell’Europa del periodo postbellico. I problemi si profilarono negli anni sessanta e aumentarono negli anni settanta, quando lo sviluppo economico rallentò, quando l’espansione del settore terziario collegato con lo Stato sociale fu sostenuta da un settore industriale in crisi, quando la base finanziaria della spesa pubblica si fece più ristretta causando tendenze inflazionistiche. Il settore pubblico fu sempre meno in grado di mantenere un alto livello di occupazione, e vaste aree del settore privato crollarono e dovettero essere salvate dallo Stato. Negli anni ottanta furono fatti tentativi per controllare l’inflazione limitando la spesa pubblica, contenendo i salari e allentando i controlli esercitati sul settore privato.

Il modello che ho appena descritto (sviluppo dello Stato sociale, intervento statale, crisi dello Stato sociale) è stato attuato non solo in Italia, ma praticamente dovunque nell’Occidente sviluppato. Dobbiamo quindi stabilire due punti: in primo luogo lo sviluppo socio-economico italiano ha seguito quello del resto dell’Europa, malgrado l’«anomala» natura del suo sviluppo politico, vale a dire la mancanza di alternanza del potere politico e il dominio in Italia di due culture, la cultura comunista e il cattolicesimo politico, che non sono dominanti nel resto dell’Occidente. In secondo luogo appare sempre più scontato che nella seconda metà del XX secolo non è più possibile parlare di sviluppo «nazionale»: il grado di integrazione internazionale è tale che problemi simili e soluzioni simili sono la norma più che l’eccezione. Tutte le nazioni devono affrontare gli stessi problemi, ma affrontarli sulla base della loro particolare tradizione politica nazionale. L’anomalia italiana non ha avuto l’effetto di aumentare la distanza tra l’Italia e il resto d’Europa, ma al contrario di integrare i due poli. L’integrazione internazionale non è avvenuta per caso: l’Italia ha attivamente cercato di essere parte di questo processo in due modi fondamentali. Primo, è entrata a far parte di un’organizzazione difensiva sopranazionale, la Nato, che ha legato strettamente la politica estera italiana a quella della superpotenza dominante nella sfera d’influenza occidentale: gli Stati Uniti. Secondo, l’Italia è stata uno dei firmatari originari del Trattato di Roma che fondò la Comunità economica europea (Cee), e pertanto assunse una netta presa di posizione a favore della creazione di una specifica entità economica (e forse, in seguito, politica) europea. In ambedue i casi i trattati furono firmati dopo il riconoscimento de facto che l’Italia faceva parte dell’Occidente, dal punto di vista sia politico che economico.

(da D. Sassoon, L’Italia contemporanea. I partiti, le politiche, la società dal 1945 a oggi, Roma, Editori Riuniti, 1988, pp. 27-28)


Presiede: Carla Bagnoli

Altre conferenze del ciclo

Torna all'archivio conferenze