Patria, stato e nazione nell'Italia del Novecento

  • venerdì 18 Marzo 2011 - 17.30
Centro Culturale

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Il debole sentimento nazionale italiano – cioè lo scarso sentimento che gli italiani hanno di essere una nazione e le poche circostanze in cui manifestano di esserlo davvero – questo dato così centrale e significativo della moderna identità italiana è il frutto combinato di due principali elementi. Innanzitutto del carattere fragile della costruzione statale-unitaria. Come tali l’identità nazionale e il suo sentimento non esistono in natura. L’una e l’altro sono il prodotto di élites ideologico-culturali, in genere inserite nelle istituzioni dello Stato, e perlopiù profondamente connesse alla prospettiva di carattere antiparticolaristico dalle stesse élites, per l’appunto, assegnata a quelle istituzioni e allo Stato nel suo complesso. È la doppia azione combinata di élites ideologico-culturali del genere e delle istituzioni statali – soprattutto di quelle preposte all’amministrazione concreta dell’interesse generale (per esempio il fisco o la giustizia), ovvero, specificamente, alla formazione di una cultura dell’appartenenza collettiva (come sono la scuola e l’esercito) – ed è siffatta azione combinata che è all’origine dell’identità nazionale e del relativo sentimento. In Italia il carattere immediatamente ideologico dello Stato (a causa della sua origine da una rivoluzione/guerra civile), e il carattere immediatamente politico delle élites legate ad esso, nonché l’inadeguatezza degli strumenti nazionalizzatori (si pensi alla lentissima diffusione dell’istruzione obbligatoria), hanno impedito all’ambito della statualità di essere quel fattore decisivo per la crescita dell’identità nazionale che esso è stato solitamente altrove. La strabordante centralità della politica ha rappresentato la seconda grande causa che ha impedito all’indomani del 1860 il radicarsi di una forte identità nazionale in Italia. Il ruolo amplissimo della politica – di una politica presentatasi perlopiù come religione secolare di salvezza collettiva, ma che poi, contraddittoriamente, è diventata ogni volta, appartenenza particolare e risorsa individuale – ha voluto dire fin dall’inizio l’inevitabile forte connotazione in senso politico-partitico dell’identità e del sentimento nazionali. In una situazione come quella italiana, in cui la politica era destinata a restare così lungamente e largamente estranea alla dimensione e alla cultura dello Stato, il richiamo alla nazione si è quasi sempre confuso con un uso affatto strumentale. In complesso, dunque, né lo Stato e le sue istituzioni, né la politica sono riuscite a rappresentare i presupposti adeguati per la crescita nei cittadini (del Regno prima e della Repubblica poi) dell’identità nazionale e del relativo sentimento di appartenenza come fatto in sé positivo. Dal 1945 in avanti perché, cauterizzati dalla catastrofe del nazionalismo fascista, Stato e istituzioni si sono posti ben raramente quell’obiettivo; e in precedenza perché se lo erano posti sì, ma in un contesto che ne rendeva il raggiungimento di fatto impossibile o limitato a delle minoranze sia pure non insignificanti.

(da E. Galli della Loggia, L’identità italiana, Bologna, il Mulino, 1998, pp. 157-159)*

Presiede: Carlo Altini
Introduce: Patrizio Bianchi

(*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)

Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.

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